Ho conosciuto il lavoro di Giacomo per la prima volta in una rivista italiana sugli immaginari tecnologici, di nome Virtual. L’articolo era del novembre 1997 (firmato Amanda Reggiori), con uno speciale dedicato all’arte interattiva italiana e alla mostra “Segnali d’opera – Arte e digitale in Italia per l’aggiornamento di un museo” alla Civica Galleria d’Arte di Gallarate. Giacomo era descritto come uno dei pionieri, attore e artista dal 1973. Mi colpirono queste sue frasi riportate nell’articolo: “Gli artisti non hanno mai progettato il futuro, lo hanno immaginato. Quasi sempre era un modo per raccontare il presente”. E anche: “Le tecnologie non hanno mai prevaricato il ruolo degli artisti, piuttosto hanno proposto nuovi ambiti d’azione”. E infine, frase che ha ispirato il mio lavoro nei venti anni futuri e oltre, “Le opere interattive si realizzano in contesti, piuttosto che oggetti […]. Il valore dell’opera dovrebbe essere maggiore della somma ‘fruitori più autore’ e diverso per ognuno, fino ad eliminare la distinzione tra autore e fruitore. L’opera non è l’ambiente o l’oggetto, ma i comportamenti che attiva”. Quell’articolo, che metteva in connessione alcune menti e pratiche artistiche del momento, è stato la scintilla per la mia ricerca sull’argomento negli anni a venire. Seguendo queste riflessioni, l’anno successivo ho scritto la mia tesi di laurea universitaria che poi, in versione ampliata, è diventata il libro Networking. La rete come arte. Per la scrittura della tesi avevo effettuato un viaggio nel 1998 per andare a conoscere le persone che stavo studiando, incluso Giacomo, che mi ha accolto a casa sua a Lucca per un’intervista. Ci siamo incontrati in quel momento.
Con Giacomo era sempre un po’ speciale, alternavamo riflessioni serie a grandi risate, era sempre l’occasione per ricevere un’energia fresca e coinvolgente, per trovare il momento di comunità attraverso i nostri lavori. Abbiamo affrontato insieme tante esperienze e riflessioni, spesso immaginando pratiche contro il dominio, utilizzando la tecnologia per liberare il pensiero e l’azione, e quando la tecnologia è diventata il dominio, abbiamo lavorato collettivamente con l’idea di immaginare nuovi futuri possibili, liberando l’arte dagli artisti (questa è una sua frase), per darla a tutte le persone che la vogliono sperimentare. Dai bambini agli anziani, da chi lavora con le tecnologie e i media, a chi lavora sul teatro, la pittura, la performance, la politica, l’attivismo, l’hacking, i movimenti, l’anarchia. Il suo documentario “Solo Limoni” durante il G8 di Genova è stato capace di raccontare la violenza di quei giorni in maniera poetica e critica allo stesso tempo, un connubio che caratterizzava tanto della sua arte. Giacomo è stato una parte attiva e importante del nostro progetto di rete AHA: Activism-Hacking-Artivism, ha scritto nella mailing list fino all’ultimo, ed era sempre presente agli eventi della lista, anche se negli ultimi anni ne accadevano di rado. È stato capace di immaginare anni fa il nostro futuro, di capire che la tecnologia era una dimensione di vita attiva e non solo un mezzo. Ne abbiamo la prova in questi giorni. Il COVID-19 ci ha portato a lavorare in differita, a riscoprire il broadcasting autogestito, le piccole stazioni TV (che ora si fanno via streaming) che lui e i suoi amici-colleghi della Minimal TV avevano già sperimentato negli anni 90’, in Italia, nelle piazze del paese, nei festival artistici, nelle manifestazioni culturali, durante le feste collettive, nei matrimoni (anche il mio!) e all’estero in manifestazioni come Documenta di Kassel durante l’esperienza di “Piazza Virtuale” del 1992. Oggi stiamo sperimentando quello che Giacomo e gli artisti del suo network avevano già immaginato. Un futuro in cui la rete ci unisce invece di dividerci, ed è emblematico che sia venuto a mancare proprio adesso, in un momento in cui non ci possiamo incontrare ma stiamo costruendo nuove reti e relazioni attraverso di lui (appena ricoverato all’ospedale ha creato una chat con gli amici “Giac oggi Come Stai??” per aggiornarci sulla sua situazione).
Il suo lavoro artistico sulle tecnologie è molto vasto, instancabile e collettivo. Mi auguro che in futuro tutti quelli che lo hanno condiviso possano ricordarlo non solo a parole ma anche riscoprendo le sue pratiche. Questo è quello che ci ha insegnato, che l’arte non è un oggetto distaccato, è la nostra esperienza, è l’energia che scaturisce dalla messa insieme di obiettivi, passioni e idee, persone. L’arte di Giacomo era presenza. Con lui non ci sentivamo molto spesso, ma c’è sempre stato nelle fasi importanti della mia vita, nei cambiamenti, nei momenti in cui avevo bisogno delle sue parole e delle sue idee piene di immaginazione positiva. Una presenza mai arrogante, sempre generosa.
Fino al giorno prima di andartene pensavi al futuro, mitico Giac (cosi mi divertivo a chiamarti). Noi penseremo al nostro futuro con te accanto, lo abbiamo fatto per molti anni insieme e lo faremo ancora.
Nella foto siamo insieme a Longarone, visitando il monumento delle vittime del crollo della diga. Era Luglio 2019, tornavamo dal Simposio nelle Dolomiti, e abbiamo fatto un bel viaggio in macchina verso Treviso, dove ho avuto il piacere di conoscere un altro network della sua vita. La foto è di Jonas Frankki.